“IMPACT OF COVID-19 ON CARDIOVASCULAR DISEASE AND HEALTHCARE ORGANISATION IN EUROPE”
A cura di Giulia Molle
Nel webinar organizzato da “Fondazione Menarini”, tenutosi il 30 Ottobre e diviso in più date, si è affrontato l’impatto che il COVID-19 ha sul sistema sanitario: esso infatti ha limitato l’accesso ai malati COVID a una migliore assistenza sanitaria. In questo caso, il webinar ha voluto proporre soluzioni per una migliore assistenza al paziente.
L’iniziale impatto della pandemia si è riscontrato nel nostro paese, in particolar modo a Bergamo in cui si è contato il record europeo di morti accertate per COVID-19 (3047 morti).
Questo aumento inaspettato dei casi, la cui alta mortalità si è verificata nelle prime quattro settimane, è stata determinata da copresenza di una popolazione anziana, grandi assembramenti dovuti ad una partita di Champions (Atalanta vs Valencia) ed un display of affection (contatti giornalieri) italiano che si aggira intorno ai 17.
Questo ha comportato una riorganizzazione del sistema sanitario nazionale, in particolare:
- aumento del personale sanitario (infermieri ed OSS);
- aumento dei dispositivi di protezione per i medici;
- possibilità di seguire webinar e corsi di aggiornamento su procedure e protocolli.
Gli effetti della pandemia sui pazienti affetti da problemi cardiovascolari
Una volta terminata la prima ondata, ci si è resi conto dei reali effetti che la pandemia ha esercitato su pazienti non COVID affetti da problemi cardiovascolari (tra i più comuni le miocarditi e disfunzioni cardiache) che mostrano il peggior esito una volta infettati.
I dati riportati dall’azienda ospedaliera Papa Giovanni XXIII di Bergamo ha suggerito l’urgenza di implementare una serie di modifiche in un sistema sì pubblico, ma i cui servizi per la salute sono frammentati e la cui coordinazione è spesso a livello regionale (il che ha rallentato l’efficacia degli interventi svolti).
Si richiede inoltre una collaborazione tra più fronti (pubblico e privato) e un aumento dei finanziamenti di ricerca a fronte del periodo emergenziale che stiamo vivendo.
Si deve oltremodo cambiare il concetto di paziente-ospedale in community-center need care: si ha la necessità di:
- limitare le ospedalizzazioni evitando così un sovraccarico per il SNN;
- diminuire il contagio tra pazienti e colleghi;
- permettere un percorso sanitario parallelo per le malattie cardiovascolari, polmonari e cure salvavita.
È dunque forte l’esigenza di un piano a lungo termine in cui il lockdown sia circoscritto ad un periodo limitato per evitare un ulteriore danno economico al paese. Le stesse problematiche sono state ritrovate negli altri paesi europei, come Francia, Spagna e Regno Unito.
In Francia (nella regione de Ile de France e dintorni di Parigi piuttosto che Madrid e Londra) si è assistito ad una prima ondata con alta mortalità del 35% per lo più negli uomini oltre i 60 anni. Questo perché non si era ancora a conoscenza di una terapia né della patologia e si aveva un alto rischio di contagio.
Ognuno di questi paesi ha circa 9860 posti per la cura intensiva del paziente COVID e non, ottenuti dai ICU bed (intensive cure unit), posti cioè comprensivi di letto, ventilatore e specialista e di Stamp out, letti senza ventilatore e ricovery room convertite a COVID (“Esc guidance for the diagnosis and management od cu disease during the covid-19 pandemic”).
Nella prima ondata si è assistito ad un utilizzo dell’80% dei posti ICU e dai dati sembrano non risultare i pazienti non COVID, i quali si palesano solo agli inizi della second wave, dove il contagio non risulta più localizzato ma generalizzato all’intero territorio europeo.
Si è concordato quindi che urge una riorganizzazione nella gestione del paziente:
- screening del paziente una volta ammesso in struttura ospedaliera (misurazione della temperatura, ecocardioterapia, ECG, identificazione di criteri clinici come aritmie);
- blocco dell’utilizzo di terapie come la clorochina e l’idrossiclorochina in favore dell’utilizzo del vaccino, anche in fase sperimentale, chadox1 n cov-19-mRNA formulato dall’azienda farmaceutica AstraZeneca;
- somministrazione ai pazienti di corticosteroidi e anticorpi monoclonali ed una più rapida approvazione per i trial clinici.
Ne consegue una riorganizzazione dello spazio sanitario in una coronary care unit, siano essi pubblici o privati.
In questo periodo così complesso è fondamentale una maggiore informazione e rieducazione del paziente, in cui se non si presentano gravi sintomi è invitato a non recarsi in ospedale e chiamare un numero apposito che gli consenta di essere seguito da remoto.
Adesso più che mai, in una pandemia in atto, la comunità scientifica richiede scelte unite e coese, non solo a livello delle singole nazioni, da parte dell’Unione Europea. Tali decisioni devono essere basate su evidenze scientifiche e decretate da Global Team volte a tutelare il paziente, ma anche l’intero personale sanitario.
Questi pochi e semplici accorgimenti potrebbero evitare una seconda temporanea restrizione che tenderebbe ancora di più a rallentare ed impattare su un sistema sanitario nazionale che difficilmente riesce a soddisfare le richieste di esecuzione di test diagnostici e cure ospedaliere.
Giulia Molle
http://linkedin.com/in/giulia-molle-4b5b04177
Dopo la laurea in Biologia Molecolare e Genetica nella ricerca biomedica e l’esperienza di tirocinio all’estero presso il Laboratoire Maladies Rares: Genetique et Metabolisme (MRGM), ho scoperto la ricerca clinica partecipando al corso di alta formazione Missione CRA. Dopo anni in ricerca di base, decido cosi di cominciare la mia carriera, grazie ai continui corsi di formazione nella ricerca clinica.