A cura di Cristina Di Nicola
Revisione di Davide Di Tonno
Oggi per Osservatorio COVID19 parleremo dell’identificazione di un nuovo biomarker in grado di predire la gravità di COVID-19, ossia la sfingosina-1-fosfato.
La severità della sintomatologia da SARS-CoV-2 è un punto cruciale nel trattamento e nella gestione dei pazienti affetti da questa patologia. Il quadro clinico varia dal paziente asintomatico/paucisintomatico a situazioni molto gravi che richiedono il ricovero in terapia intensiva, con compromissione dell’attività respiratoria e della funzionalità di alcuni organi fino anche alla morte.
Sebbene l’età e la presenza di altre patologie sia rilevante nell’evoluzione della patologia COVID-19, molto spesso l’infezione si manifesta in modo eterogeneo e inaspettato. Per questo motivo è necessario focalizzarsi sulle terapie e identificare dei possibili nuovi biomarkers che abbiano un evidente valore prognostico.
La sfingosina-1-fosfato
La sfingosina-1-fosfato (S1P) viene prodotta dalla sfingosina chinasi a livello intracellulare e dopo il suo rilascio esercita effetti pleiotropici attraverso il legame ad uno specifico recettore accoppiato a proteina G.
In condizioni fisiologiche, S1P è presente ad elevate concentrazioni nel sangue, mentre i suoi livelli sono bassi nei tessuti. Si viene così a creare un gradiente di concentrazione fondamentale affinché la S1P eserciti la sua attività regolatoria.
L’infezione da SARS-CoV-2 provoca un aumento delle citochine pro-infiammatore, con conseguente tempesta citochinica e aumento dei livelli interstiziali di S1P. Questo comporta diverse alterazioni:
- anemia e conseguenze a livello epatico
- riduzione nella sintesi di albumina e ApoM, i quali fungono in condizioni fisiologiche da trasportatori di S1P.
Si ha dunque una progressiva riduzione dei complessi ApoM/S1P e albumina/S1P, con conseguente alterazione della concentrazione S1P. La riduzione sistemica dei livelli di S1P pare sia correlata ad una maggiore severità della sintomatologia da SARS-CoV-2.
Sfingosina-1-fosfato e SARS-CoV-2
Il ripristino dei livelli di S1P potrebbe portare ad una riduzione della gravità della sintomatologia da SARS-CoV-2.
A questo proposito sono stati condotti degli studi clinici ad hoc:
- Fingolimod, un antagonista di S1P, è stato utilizzato nei pazienti COVID-19 in quanto portava ad una riduzione della tempesta citochinica infiammatoria. Il suo utilizzo, tuttavia, è stato sospeso.
- Ozanimod, un agente immunomodulante che si lega al recettore della sfingosina, modulandone l’azione. In particolare, Ozanimod è un ligando del recettore 1 della sfingosina-1-fosfato e, oltre ad avere un’attività sulla regolazione della permeabilità delle vie aeree, presenta un elevato profilo di sicurezza. I ricercatori ritengono dunque che questo farmaco sia tra i primi della lista in grado di mitigare la morbilità e la mortalità della malattia.
Come è ben noto, i glucocorticoidi sono ampiamente utilizzati nel trattamento di SARS-CoV-2. Questi intervengono inibendo la secrezione di citochine infiammatorie indotta da S1P. Dunque, in base a quanto riportato, sarebbe bene misurare i livelli circolanti di S1P in pazienti COVID-19 prima di somministrare qualsiasi farmaco che intervenga nella modulazione di S1P.
Conclusioni
Si ipotizza che la S1P possa giocare un ruolo fondamentale nella disfunzione endoteliale, nell’alterazione della risposta immunitaria e nell’infiammazione persistente tipica nei pazienti COVID-19.
Per questo motivo sarebbe interessante e utile focalizzarsi in studi futuri sul ripristino dei livelli normali di S1P e sulla modulazione del suo legame con albumina e ApoM, al fine di ridurre la mortalità e morbilità della malattia SARS-CoV-2, oltre che ottenere una risposta immunitaria efficace dopo la vaccinazione in pazienti COVID-19.
La ricerca clinica è fondamentale per studiare ed analizzare tutti gli aspetti della malattia e tutte le terapie possibili, al fine di ottenere un approccio clinico quanto più completo e funzionale possibile.
Cristina Di Nicola
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“Mi sono laureata in Farmacia presso l’Università di Chieti. Dopo aver conseguito la specializzazione in Nutrizione Umana presso l’ Università Telematica San Raffaele, ho avuto modo di conoscere il mondo della Ricerca Clinica e ho quindi deciso con grande entusiasmo e curiosità di seguire la prima edizione online del corso Missione CRA. Il corso mi ha permesso di avvicinarmi e appassionarmi ancora di più a questo mondo, che sto continuando ad approfondire anche grazie ai numerosi corsi di formazione disponibili sulla piattaforma FormazioneNelFarmaceutico.com”
Davide Di Tonno
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Dopo la laurea in Biologia Molecolare e Genetica, ho scoperto la ricerca clinica partecipando al corso di alta formazione missione CRA.
Attualmente sono Clinical Project Associate presso la CRO ClinOpsHub.