A cura di Lazzaro Biancofiore
Revisione di Davide Di Tonno
Dopo più di tre mesi dall’autorizzazione del primo vaccino Pfizer/BioNTech, in Italia iniziano ad essere evidenti i primi effetti della vaccinazione. Come riporta l’Istituto Superiore di Sanità nel suo ultimo report del 17 marzo, è avvenuta una sostanziale riduzione dei nuovi contagi nelle categorie vaccinate (in primis personale sanitario, ma anche ospiti delle RSA e ultra ottantenni).
Tuttavia, ad oggi ancora non sappiamo quanto dura l’immunità contro il SARS-CoV-2.
Da alcuni studi è emerso che nei pazienti guariti dal COVID-19 gli anticorpi persistono per almeno sei mesi, in seguito l’immunità tende a diminuire nel tempo in maniera graduale. Anche l’immunità cellulare svolge un ruolo importante contro il nuovo Coronavirus. In uno studio pubblicato sulla rivista Science, è stato visto che la durata dell’immunità cellulare sembra andare di pari passo con quella umorale.
Attualmente in Italia e in tutta Europa sono quattro i vaccini utilizzati per fronteggiare la pandemia: il vaccinoComirnaty ( Pfizer/BioNTech), Moderna, Vaxzevria (AstraZeneca), e Johnson & Johnson.
Sulla base della piattaforma tecnologica utilizzata possiamo dividere i 4 vaccini in due tipi fondamentali, ovvero i vaccini ad RNA (come Pfizer e Moderna) e i vaccini adenovirali (come AstraZeneca e Johnson & Johnson).

Mentre la campagna vaccinale sui due vaccini ad RNA procede senza problemi e limitazioni, il vaccino AstraZeneca e Johnson & Johnson hanno scatenato preoccupazioni in tutta la popolazione europea.
Il motivo di tale preoccupazione è la comparsa di eventi trombotici e tromboembolici in seguito alla somministrazione di questi vaccini. Su 5 milioni di dosi di vaccino AstraZeneca somministrate nella comunità europea, si sono registrati 30 casi di eventi trombotici e tromboembolici venosi, scatenati tra il quinto e il sedicesimo giorno dopo la vaccinazione e per lo più in pazienti (quasi tutte donne) con una età compresa tra i 22 e 49 anni.
Anche il vaccino Johnson & Johnson, ultimo approdato in Europa, ha fatto registrare nella popolazione americana 6 casi di trombosi su 6,8 milioni di dosi. Questo ha spinto l’EMA a sospendere a soli pochi giorni dall’autorizzazione all’immissione in commercio l’utilizzo di tale vaccino, in attesa di analizzare meglio i dati resi disponibili dall’FDA.
Eventi trombolitici: le possibili cause
Il meccanismo d’azione responsabile degli eventi trombotici di questi due vaccini è rappresentato dall’adenovirus stesso che, legandosi al recettore piastrinico PF-4 (noto anche come fattore piastrinico) innesca una massiccia produzione di auto anticorpi diretti contro tale proteina.
Questo processo attiva le piastrine, e quindi la coagulazione con conseguente formazione di trombi a livello sistemico. L’evento in medicina è noto come Trombocitopenia autoimmune, in grado di scatenare trombosi dei seni venosi cerebrali, embolie polmonari, o portare alla coagulazione intravascolare disseminata (CID), responsabili della morte di alcuni pazienti in seguito alla somministrazione di questa tipologia di vaccino.
In uno studio pubblicato sul New England Journal of Medicine è emerso che il dosaggio tramite metodologia ELISA degli anti PF-4 nel sangue dei soggetti può essere utile per diagnosticare in fase precoce la trombocitopenia autoimmune indotta dal vaccino. In questo modo è possibile agire in tempo mediante somministrazione di anticoagulanti diversi dall’eparina, e quindi di ridurre la mortalità in seguito alla vaccinazione.

Come riportato da AIFA nel suo terzo ed ultimo Rapporto di farmacovigilanza sui vaccini COVID-19, su quasi 10 milioni di dosi somministrate sono state registrate circa 46 mila segnalazioni di eventi avversi. Di questi, il 92,7 % dei casi sono riferiti ad eventi non gravi come:
· dolore in sede di iniezione;
· febbre;
· Cefalea;
· dolori muscolari/articolari;
· brividi e astenia;
La sintomatologia tende a manifestarsi principalmente il giorno stesso o il giorno successivo alla vaccinazione. Tali eventi risultano essere più intensi in persone con età inferiore ai 45 anni.
Conclusioni
Ad oggi non sappiamo quanto duri l’immunità conferita dai vaccini. Secondo uno studio pubblicato su Nature, i soggetti a cui è stato somministrato il vaccino Moderna presentano una risposta immunitaria efficace anche dopo sei mesi.
Tutti i vaccini, sia autorizzati che ancora in fase di sperimentazione, sono efficaci e sicuri. I casi di trombosi manifestati in alcuni pazienti in seguito alla vaccinazione con vaccini adenovirali sono avvenuti in pazienti al di sotto dei 50 anni di età, motivo per il quale questo tipo di vaccinazione è stato sospeso per tale categoria. Infatti, in Italia e in quasi tutti gli altri paesi europei i vaccini AstraZeneca e Johnson & Johnson sono indicati per soggetti con un’età superiore a 60 anni, proprio perché in questa fascia di età il vaccino risulta essere ancora più sicuro. Secondo l’OMS è necessario che il 70% della popolazione debba essere vaccinata per raggiungere l’immunità di gregge, e quindi ritornare alla vita normale. Per questo sconfiggere la pandemia è prerogativa di tutti, e l’unica arma che abbiamo sono i vaccini.
Lazzaro Biancofiore
www.linkedin.com/in/lazzarobiancofiore
Sono un laureato in Biologia Molecolare, e dopo una breve esperienza nella ricerca Pre-Clinica, e due anni come Informatore Scientifico del Farmaco, ho deciso di entrare nel mondo della Ricerca Clinica. Così mi sono iscritto al corso di Alta Formazione in Ricerca Clinica Missione CRA (www.missionecra.com), che mi ha ulteriormente motivato.
Davide Di Tonno
https://www.linkedin.com/in/davide-di-tonno/
Dopo la laurea in Biologia Molecolare e Genetica, ho scoperto la ricerca clinica partecipando al corso di alta formazione missione CRA.
Attualmente sono Clinical Project Associate presso la CRO ClinOpsHub.